“Delitto sull’Isola Bianca”, di Chiara Forlani: recensione.

Titolo: “Delitto sull’Isola Bianca”.
Autrice: Chiara Forlani.
Edito da Nua Edizioni.
16,50 euro per 288 pagine.

Dalla quarta di copertina: «Un’isola in mezzo al Po, un mistero da risolvere, un giovane ombroso che vive con un proiettile conficcato nel cranio e viene coinvolto in una vicenda dai contorni tenebrosi. Nel 1950 diverse famiglie vivono sull’isola Bianca, un luogo sperduto dove l’esistenza segue i ritmi e le cadenze dell’Ottocento. Vita di campagna, amori, saggezza popolare e segreti inconfessabili: tutto concorre alla soluzione del mistero, in un crescendo di tensione che si stende come un sudario sulla bellezza selvaggia della terra situata tra la città di Ferrara e il grande, maestoso fiume Po.»

Quando incappo in penne belle come quelle della Forlani, mi dico che la mia passione (ossessione?) per i libri è ben giustificata. “Delitto sull’Isola Bianca” è un giallo ambientato negli anni Cinquanta, nella nostra Ferrara, in cui convivono tanti aspetti importanti e profondi.

Dico nostra, perché anche Chiara è originaria di Ferrara. E la città degli Este continua a sfornare talenti letterari anche secoli dopo il loro mecenatismo! Non è che potremmo restaurarlo? Renderebbe la vita tanto più semplice a noi, gente di estro…

Magari, dopo aver letto un giallo così valido, mi sosterrete in questa campagna? Allora vi racconto le mie impressioni per accostarvi al meglio a questa lettura.

Siamo sull’Isola Bianca, una piccola realtà galleggiante situata in un’ansa del Po, vicino a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara. Nonostante sia abbastanza solida e concreta da poter ospitare decine di persone, animali da fattoria, colture e foresta, l’isola non lo è abbastanza da poter resistere alle correnti impetuose del Po, soprattutto quando le piene stravolgono l’andamento del fiume. Parliamo di qualcosa di poco noto, ma reale: l’Isola Bianca, per quanto sconosciuta ai più, esiste ancora oggi.

È un’isola fluviale, creata dai sedimenti portati dalla corrente, e che in passato ha raggiunto un’estensione ragguardevole. Oggi si è rimpicciolita, rispetto al passato, ed è un’oasi naturale di notevole fascino. Un bosco selvaggio e rigoglioso, abitato da numerose razze di uccelli e tanti altri animaletti. Un luogo che, stando alle voci, è anche ricco di leggende suggestive e misteri…

Torniamo al 1950 e al “Delitto sull’Isola Bianca”. Che anno fu! L’Italia aveva appena iniziato la sua avventura come repubblica, il dopoguerra era difficile ma lasciava arrivare le prime piccole novità e segni di benessere da oltre oceano. Corrente elettrica, acqua corrente e potabile, gabinetti, frigoriferi, elettrodomestici di ogni tipo, abbigliamento prèt-à-porter…

Sull’isola tutto questo manca. Gli abitanti conoscono l’esistenza di queste comodità, ma sono bloccati a uno stile di vita spartano che ricorda quello degli Amish. Sull’isola non arriva la corrente elettrica e tutto è tremendamente difficile. Il lavoro può contare solo sulla forza delle braccia di tutti e su qualche mucca.

Il modo in cui Chiara ci porta nell’atmosfera di quegli anni, di quella società, con tutte le sue peculiarità e differenze, è talmente spontaneo da catturarci all’istante. Ci sentiamo in quegli anni, respiriamo l’atmosfera di allora, è un’immersione completa. Tutto è evocato con descrizioni suggestive, poco ingombranti, che suggeriscono tutti i dettagli fondamentali di quanto circonda i protagonisti.

Giusto, e i protagonisti del “Delitto sull’isola Bianca”?

Il primo elemento che salta all’occhio, anzi, in cui inciampiamo è il morto stesso. Il Sacocia è una persona come tante che potremmo conoscere anche noi. Ricco, l’unico a non avere mai problemi di soldi anche perché è un usuraio. Una persona che suscita invidia e disprezzo in ugual misura per la sua pochezza umana e morale.

Quando la piccola Anna lo trova morto, noi sorridiamo per questa strizzata d’occhio al Stephen King di tempi memorabili e rabbrividiamo per come questo ritrovamento sembra possibile.

Una certezza viene offerta subito al lettore: tutti sull’isola hanno almeno una buona ragione per cui odiare il Sacocia e augurargli del male. Chi può essere così disperato o rancoroso da passare dagli auguri ai fatti?

Per i carabinieri di Pontelagoscuro, guidati dal maresciallo Zeri, il caso non è per nulla semplice, anche perché indagare in una comunità chiusa come quella dell’Isola Bianca è un compito ostico e ingrato. Romolo Zeri è consapevole di queste difficoltà e si rivolge al suo amico di infanzia, Attilio Malvezzi, per ricevere aiuto e consigli.

E Attilio Malvezzi, detto il Foresto, è proprio un tipo memorabile. Uno dei pochi isolani ad avere studiato, abbastanza istruito da poter diventare maestro. Dopo la guerra, ha rinunciato a questa possibilità e ha vagabondato a lungo lontano da casa: in dialetto, “foresto”, al furest, indica proprio lo straniero. Il suo carattere già ombroso e riflessivo è peggiorato per via una sensibilità non comune che gli permette di cogliere sprazzi delle emozioni e dei sentimenti altrui. Una capacità imprevedibile, a volte ingombrante e a volte utile. Sospetta che derivi dalla pallottola che, per uno strano accidente, gli si è piantata nel cranio senza però ucciderlo o danneggiarlo: di certo il proiettile è lì, come la sua nuova sensibilità, e non può liberarsi di nessuno dei due.

Nonostante sia parte della comunità, indagare è difficile anche per lui. Come può essere imparziale, se deve sospettare persino dei suoi genitori, dei fratelli e delle sorelle, delle persone che conosce da tutta la vita? I conflitti sono inevitabili, in un clima già molto teso.

E quando la verità emergerà (perché emergerà, non temete, e sarà davvero spiacevole, proprio come lo è il trattenermi per non rovinare la lettura a nessuno), le difficoltà saranno ben lontane dal terminare. In una comunità così piccola, in una città tutto sommato provinciale, è facile infastidire qualcuno. La verità non è un diritto scontato.

Mi sono immersa in “Delitto sull’Isola Bianca” con molto piacere. È una lettura che scorre, niente affatto placida come il nostro grande fiume, ma con un brio da torrente di montagna, che ti spinge a volere un’altra pagina, un’altra, ancora una! Nonostante l’indagine che trascina il lettore in cerca della verità, notiamo la grande quantità di temi importanti che la Forlani affronta in questo romanzo: le conseguenze delle nostre azioni, ad esempio, ma anche i rapporti familiari, il bisogno di innovazione e il timore di perdere la propria identità e il proprio ruolo, il peso della verità, il rapporto con la giustizia… c’è davvero tanto in queste pagine.

Il personaggio del Foresto spicca su tutti, come è inevitabile. La sua profondità e complessità conquistano subito il cuore del lettore, lo rendono vivo e tormentato: entrare in sintonia con i suoi dubbi, il suo desiderio di agire in modo giusto e l’indulgere a ciò che invece è facile o piacevole, è immediato.

La cosa bella è che tutti i personaggi, pur essendo un numero cospicuo, lasciano emergere una profondità notevole senza ostentazioni, con accenni che mi danno la sensazione di cogliere con un rapidissimo colpo d’occhio l’interno di una grande stanza ben arredata. Alcuni hanno caratteri spigolosi, induriti dal lavoro e dalla fatica, altri sono morbidi, terreno fertile per speranze e illusioni: tutti sono umani e possibili.

La Forlani indugia in alcuni momenti descrittivi che ho apprezzato moltissimo per la naturalezza e precisione con cui sanno restituire l’atmosfera unica delle campagne ferraresi. Perché sì, l’umidità e la nebbia sono atroci, delle zanzare è meglio non parlare nemmeno. A volte le condizioni qui sono insopportabili.

Eppure… eppure. Se dovessi pensare a un altro luogo come “casa”, non ci riuscirei. A furia di respirare vapore acqueo, le sinapsi sono diventate un po’ sbalenghe. È come se avessimo sviluppato un culto naturale del dolore e del sacrificio. Sì, sarebbe bello vivere in un posto soleggiato e asciutto, dove non rischi l’assalto di decine di piccoli Dracula ogni notte d’estate, ma chissà perché nessuno di noi va davvero in un posto vivibile. Perché?

Perché alla fine qui ci piace. Qui siamo a casa. Viviamo in questo miscuglio di civiltà e natura in cui pochi metri dividono il centro abitato dalla boscaglia, la strada asfaltata dalla palude, l’uomo civile dalla bistiaza. È bello sentirsi al sicuro nel traffico di automobili, pedoni e ciclisti di viale Cavour, eccome, ma quando il profumo dei tigli ti riempie i polmoni, quando scopri certi angoli selvaggi e dimenticati… qualcosa ti sboccia nel petto e ti scaraventa in un’altra epoca e non sai più dove sei, se nel XXI secolo o nel Medioevo.

Scusate, questa benedetta città mi fa diventare sentimentale. In ogni caso, Chiara rende giustizia a questi luoghi così contraddittori: anche chi non ama le narrazioni che dedicano più di tre parole alle descrizioni, come oggi è di moda, qui vedrà un altro approccio alla vita e alla narrativa. Semplicemente, non si può capire la vita tra nebbie e calure asfissianti senza comprendere la lentezza cui questi elementi ti costringono o senza sviluppare la giusta attenzione ai sensi e al contesto, che ti permette di arrivare a casa tua e di non infilarti nel vialetto di qualcun altro.

Certe notti non azzecchi la via giusta nemmeno camminando lentamente, diciamolo pure.

La presenza forte dell’Isola Bianca la rende un personaggio di tutto spessore, capace di determinare la vita dei suoi abitanti in ogni momento.

“Delitto sull’Isola Bianca” è un viaggio nell’Italia povera degli anni Cinquanta e nella sua vita contadina più dura e autentica, uno scorcio ben costruito delle tensioni create dall’arrivo della modernità contro la forza delle tradizioni. Un bel giallo, in cui il colpevole è tutto fuorché ovvio, e che mostra aspetti più veraci e affascinanti della terra degli Este, insieme a tutta la crudeltà di cui anche le persone più insospettabili possono diventare succubi. Un promemoria importante di una legge antica quanto l’uomo: le conseguenze delle nostre azioni tornano sempre a colpirci, nel bene e nel male.

Secondo me? È una lettura che merita e che consiglio! (e i post-it lo confermano!)

E se dopo aver letto “Delitto sull’Isola Bianca” penserete anche voi: “Ma quanto mi intriga questo Attilio, cioè, ehm, volevo dire, che penna intrigante quella di Chiara, vorrei proprio leggere qualcos’altro scritto da lei!”, beh, avrete una bella sorpresa.

La seconda indagine del Foresto, “Il campo delle ossa”, uscirà ufficialmente il 31 marzo. Io lo sto leggendo in anteprima e vi garantisco che i brividi e la tensione abbonderanno. Buona lettura!

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