4321, di Paul Auster. La mia recensione.

Titolo: 4 3 2 1

Autore: Paul Auster.

Casa editrice: Einaudi, collana Super ET.

951 pagine al prezzo di copertina di 17 euro.

«La cosa migliore che abbia mai fatto Auster, e una delle migliori uscite negli ultimi tempi, non solo in America. Che audacia, quale inventiva, quanta profumata carne al fuoco!»

Alessandro Piperno.

Cosa sarebbe successo se invece di quella scelta ne avessimo fatta un’altra? Che persone saremmo oggi se quel giorno non avessimo perso il treno, se avessimo risposto al saluto di quella ragazza, se ci fossimo iscritti a quell’altra scuola, se… A volte per raccontare una vita non basta una sola storia. Il 3 marzo 1947, a Newark, nasce il primo e unico figlio di Rose e Stanley: Archie Ferguson. Da questo punto si dipanano quattro sentieri, le quattro vite possibili, eppure reali, di Archie. Campione dello sport o inquieto giornalista, attivista o scrittore vagabondo, le sue traiettorie sono diverse ma tutte, misteriosamente, incrociano lei, Amy.

Paul Auster ha scritto una sinfonia maestosa suonando i tasti del destino e del caso: un libro che mette d’accordo Borges e Dickens, un’avventura vertiginosa e scatenata, unica e molteplice come la vita di ognuno.

La mia opinione.

4321 è uno dei rari casi di libro che ho faticato a terminare. Sì, avete letto bene. Ho faticato molto a terminare 4321. Forse avevo aspettative esagerate – e chi non le avrebbe, dopo una quarta di copertina come questa? – forse mi sono lasciata suggestionare dal generale entusiasmo che la comunità di blogger e appassionati di libri ha riservato a questo volume… non so cosa non abbia funzionato. Il punto certo è che la scintilla non è scattata.

Non mi piace che mi si menta già nella quarta di copertina e qui devo bacchettare gli amici, di solito attenti e meticolosi, delle edizioni Einaudi: Archie non incontra misteriosamente Amy in tutte le sue vite. Nella seconda non si incontrano. Prima bugia.

La seconda arriva poco più avanti, a mano a mano che la lettura di 4321  prosegue: ci rendiamo conto che le quattro vite possibili di Archie che ci vengono raccontate non sono veramente percorsi influenzati dalle sue decisioni e possibili per una sua volontà. Non è questione di rispondere o no ad un saluto, di scegliere una scuola piuttosto che un’altra. Nessun Archie ha scelto di trovarsi orfano di padre giovanissimo, nessun Archie ha deciso di vivere il divorzio dei suoi genitori, nessun Archie sceglie di avere una zia la cui compagna è decisamente troppo chiacchierona e ha un senso molto vago del rispetto delle confidenze altrui, eccetera.

La vita di Archie è determinata da ben poche sue scelte. Semmai possiamo vedere come le scelte degli altri possano portare cambiamenti, anche importanti e drammatici, nelle nostre esistenze, ma il testo non mi ha trasmesso alcun senso di azione, di determinazione e presa di iniziativa. Semmai una quieta rassegnazione a vivere passivamente e a sprofondare nei vizi più disparati così, per il gusto di imitare qualcuno o di combattere la noia e gli ormoni impazziti.

No, non è proprio quello che mi aspettavo.

Archie sembra in balia dei fatti e delle circostanze, questa è esattamente la mia impressione. È una costante vittima dei fatti, delle circostanze, delle scelte di qualcun altro, che agisce senza una direzione vera e propria, vivendo puramente a casaccio, assecondando capricci e stizze.

È circondato sempre dalle stesse persone, che a volte incontra in circostanze diverse e che potrebbero avere a loro volta vite diverse, ma sembra tutto un puro capriccio del caso. Cambia l’ordine dei decessi, a volte la causa, una in particolare strapperà qualche risatina divertita e risate ammirate per le reazioni che susciterà, ma nulla cambia davvero.

Newark, New York, i parenti, Amy, le trasgressioni… cambiano i dettagli, le decorazioni, ma non lo scenario che le sorregge. La struttura è sempre simile. In 4321 non vediamo né l’importanza delle proprie decisioni nel forgiare il proprio futuro, né quattro vite completamente diverse di cui seguiamo le vicende attraverso le pagine. Non è esattamente quello che mi era stato promesso.

4321 avrebbe potuto comunque essere un libro interessante, se non avessi avuto l’impressione di leggere la semplice cronaca della discesa nei vizi e peccati del giovin Archie Ferguson, tra una disgrazia e l’altra e tra divagazioni eccessive nella storia americana del secondo dopoguerra. Quando la discesa si protrae per ottocento pagine, nemmeno un finale arguto è sufficiente a risollevarmi l’umore, soprattutto se mi da l’impressione di essere un po’ tirato per i capelli per voler inserire a tutti i costi qualcosa di spiazzante e inaspettato, che suoni magari anche molto profondo e mistico allo stesso tempo. In realtà un lettore arguto (o poco coinvolto) può immaginare il possibile finale fin dalla lettura delle prime pagine.

Le uniche parti in cui ho avvertito un po’ di verve nella scrittura, di pathos e sentimento, sono le “velate” arringhe che si trovano sparse tra una vita e l’altra. Che si tratti di omosessualità, diritti civili, uguaglianza tra bianchi e neri, qui Auster riesce a tirare fuori un po’ di grinta e scaldare i toni. Al punto che mi chiedo se fosse questo il vero punto del romanzo.

Devo ammettere con una certa tristezza che, dopo le dichiarazioni della Rowling sul mondo all friendly – all inclusive tipo tariffa telefonica di Harry Potter, voler scrivere il romanzo “inclusivo per eccellenza” e “rispettoso delle minoranze” ormai sembra una moda. Peccato che trovarsi ovunque sermoni sul fatto che siamo tutti uguali, tutti bravi e tutti belli (tranne quelli che bullizzano Archie, che sono un po’ meno uguali belli e bravi) finisce con l’essere un po’ noioso. Rimango convinta che uno scrittore dovrebbe tenermi incollata al suo romanzo per la maestria con cui racconta, non per le convinzioni che sbandiera sulla pagina o per le etichette che ci appiccica sopra.

In questi casi io inizio a far vagare lo sguardo sulle parole, cercando il momento in cui finirà il momento delle chiacchiere e si tornerà alla storia.

Come diceva un personaggio che amo moltissimo, il mai abbastanza osannato Palmiro Cangino, qui ci vogliono “fatti, non pugnette!”. Qui vedo un sacco di pugnette e pochi fatti. Dov’è la storia? Dov’è l’azione? Tra un paio di pagine, su per giù. Intanto lascia che ti spieghi le ragioni per cui Kennedy è il miglior presidente che si sia mai visto e tutte le cose straordinarie che ha fatto…

Perdonate il momento forbito. Rientro subito nei miei toni abituali.

La butto qui, un’idea magari stupida, ma magari carina. Se trattate queste minoranze come specie in via di estinzione, come fa una persona media a sentirle non dico uguali, ma almeno simili a sé? Io non mi sento simile al dodo, per dire. Se mi si chiede di trattare una persona come un dodo (che è già estinto, lo so, ma ha un’aria molto simpatica e non voglio cambiare esempio), come faccio a sentirla simile a me? Fatico, ecco quanto.

Un’altra nota che devo aggiungere a 4321 è l’assurdità delle disgrazie che i vari Archie incasellano. In ordine sparso incontriamo zii lestofanti che rapinano il padre di Archie; il padre che muore nell’incendio del negozio; Archie che si rompe una gamba cadendo da un albero; Archie mutilato; Archie innamorato della sorellastra; Archie che ruba libri alle biblioteche per rivenderli e pagare la dolce compagnia che gli manca con il ricavato; Archie che scampa miracolosamente alla leva per il Vietnam, sempre, ma poi finisce investito, picchiato, arrestato, scaricato, sterile… se vogliamo raccontare la grande epopea americana, la grande storia delle famiglie di immigrati, il cliché vuole che ci sia qualcuno, ad un certo punto, che riesce ad avere una vita carina e tranquilla. Non dico un successo straordinario, ma un’esistenza di cui sentirsi soddisfatti. Sicurezza economica, felicità familiare… le cose che vogliamo tutti, no?

No. Archie compensa una fortuna con una disgrazia pazzesca e questo equilibrio non mi fa proprio pensare che gli USA siano la terra delle opportunità e della fortuna, dove chiunque abbia talento e determinazione possa costruirsi una bella vita. Zero. Mi fa pensare ad un posto in cui potresti uscire di casa per andare al lavoro e finire coinvolto in una sassaiola semplicemente perché sei nel quartiere sbagliato, in cui devi calarti per forza in questa dualità irritante del “con noi o contro di noi” e raggiungere estremi di agitazione parossistica per le cose più disparate e vane.

SPOILER! Se non volete conoscere il finale, non leggete il paragrafo successivo e passate direttamente all’ultimo! Io vi avviso. Del finale devo parlare, ma non voglio guastare la sorpresa a nessuno. Okay?

 

 

 

Realizzare che tutto il malloppone 4321 è una pura sperequazione cerebrale di Archie che decide di scrivere questa storia dopo aver udito la barzellette del giovane ebreo russo arrivato a Ellis Island (che farà diventare una specie di leggenda di famiglia) mi ha fatto letteralmente cadere le braccia. Affascinante escamotage metaletterario, senza dubbio, però rimane tutto freddo per me. Non sento una dimensione umana in tutto questo, il testo non mi trasmette l’amore che l’Archie reale dovrebbe provare per i suoi personaggi, un crescendo che lo porta ad eliminarli man mano che scopre di amarli. Se Archie è l’alter ego di Auster stesso, non ho avvertito alcun trasporto, nulla che mi faccia dire “Ah, qui parla sicuramente di sé!”. Non so, l’ho trovato in qualche modo fiacco, un po’ estraneo a tutto. Questa è la mia impressione, per carità, non è certo Vangelo.

 

 

 

 

L’unico aspetto pienamente positivo lo trovo nella quarta vita di 4321. L’ostinazione di Archie nel cercare il successo letterario mi ha ricordato un po’ i miei sforzi, che a volte mi appaiono abbastanza patetici, e l’importanza di continuare a credere in se stessi, anche quando in realtà non crediamo proprio per niente in noi. Anche quando “ho fiducia nelle mie capacità” è solo una filastrocca che ci ripetiamo per far vedere a tutti che siamo sani ed equilibrati, in pace con noi stessi e col mondo. Sempre, punto. Crederci sempre e provarci sempre: questo è il messaggio più positivo che sono riuscita ad estrapolare dal romanzo e che porterò con me anche dopo aver rimesso il libro sullo scaffale.
Nella lettura ci sono anche frasi efficaci e suggestive che possono indurre qualche bel momento di riflessione. Non è una bocciatura completa, la mia. È più un “carino, ma niente di eccezionale”. Non escludo di rileggere 4321 in futuro. A volte un libro non ci fa fare i salti di gioia semplicemente perché non è il suo momento. Chissà? Ci rivedremo, Archie!

Noi invece ci rivedremo quasi certamente mercoledì prossimo. Se vi va, fatemi sapere le vostre impressioni nei commenti. Io non vi sconsiglio di leggere questo libro, sia chiaro: a tantissime persone è piaciuto, potrebbe piacere anche a voi. Forse io sono troppo tignosa quando leggo, valutate in serenità e autonomia. Ci tengo a sapere le vostre opinioni, qualunque decisione prendiate! State bene e buone letture a tutti!

Samanta

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